La lacrima di Bobi

Luigi, lisciandosi i baffi, guardò il cielo che era ancora stellato, il freddo mordeva la faccia e la pianura pratese lungo la vecchia strada ciottolosa era bianca di gelo. Eh si, era un freddo che “strinava” quella mattina! Una delle tante mattine che il barrocciaio, per soddisfare le richieste di qualche cliente, partiva da Chiazzano, una frazioncèlla di campagna in provincia di Pistoia, alla volta di Firenze. Bobi stava dietro, annusava il ciglio, si fermava, saltellava di passo in passo, saliva con un balzo a cassetta e riscendeva, poi faceva una corsetta tra le gambe dell’enorme cavallo che abituato a quel genere di sortite, continuava col suo solito passo a tirare il barroccio. Bobi era un bastardino di piccola taglia, a pelo raso, di colore marrone chiaro, con le zampette bianche. Masino, uno dei figli di Luigi, il più piccolo, durante le corse nei campi, l’aveva trovato ancora cucciolo in un fosso, tremante e affamato e lo aveva tirato su a giochi, latte e carezze. Così Bobi era cresciuto e aveva preso a seguire l’uomo lungo i suoi spostamenti nelle campagne e nelle città a trasportare una volta del fieno, un’altra delle damigiane di vino, un’altra ancora ciottoli e, durante l’estate, anche legname per l’inverno. Luigi, il cavallo, il barroccio e Bobi sempre dietro. Quando l’uomo si fermava nelle aie dei contadini per caricare o scaricare della merce Bobi spariva, andava nel pollaio e velocissimo rompeva e ingozzava qualche uovo. A volte la massaia se ne accorgeva e rincorreva il cane con la scopa, mentre gli uomini ne domandavano conto al barrocciaio il quale si giustificava dicendo “Il cane non è mio, mi è venuto dietro di fondo alla strada”. Ecco però, finito il lavoro e ripresa la via di casa, dopo un po’ appariva Bobi sazio e felice, che sotto lo sguardo indulgente di Luigi, continuava tranquillamente a trotterellare dietro il barroccio. Il bastardino era un cane intelligentissimo e lo aveva dimostrato più volte come quando ogni settimana a giorni prestabiliti, il barrocciaio partiva da Chiazzano alla volta dell’Arca all’entrata della città, per andare a far visita alle famiglie che aveva conosciuto durante la guerra, gente sfollata fuori città causa i bombardamenti. Bobi precedeva veloce il padrone, si sedeva di fronte all’uscio di casa e con la zampina raspava il legno aspettando che qualcuno aprisse, gli facesse una carezza e gli desse un pezzetto di pane. Quel mattino a Firenze Luigi fece presto, scaricò la merce e riprese la via del ritorno che ancora non era suonato mezzogiorno. Sul piazzale di Porta al Prato c’erano dei soldati che, gavette in mano, si erano fermati a mangiare e scherzavano fra di loro. Luigi passò nel mezzo, Bobi dietro. Uno dei militari fischiò e il cane gli andò incontro scodinzolando. Il giovane prese un pezzetto di carne e la dette al cane il quale ingoiatala in un baleno, felice alzò la zampa quasi a chiederne ancora. Tutti risero. “Quanto vuoi per questo cane?” domandò il militare rivolgendosi al barrocciaio. “Ooohh” fece l’uomo fermando il cavallo, lo guardò di sottecchi e scuotendo la testa rispose: “Mi dispiace, ma non è in vendita”. Il soldato fece una carezza al cane e disse “Ti do un pacchetto di Macedonia” e mostrò le sigarette. Il fumo, per l’uomo abituato ad accontentarsi di qualche mozzicone e di un po’ di trinciato, era un gran lusso, un pacchetto di sigarette era tanto di più di quanto Luigi si sarebbe potuto permettere. La famiglia era numerosa e tutta sulle sue spalle. Tuttavia anche poche lire erano importanti e in nessun modo avrebbe potuto spendere quel denaro quindi scosse nuovamente la testa. Il militare insisté: “Di pacchetti te ne do tre, ma decidi veloce sennò ci ripenso”. Luigi si lisciò i baffi rimuginando, era combattuto, cosa avrebbe raccontato a Masino? Alla fine la voglia di potersi permettere di fumare vinse e Bobi, come i tre pacchetti di Macedonia, passò di mano. “Tanto torna” pensò Luigi e lentamente, col cuore gonfio di pena, rientrò verso Pistoia. La sera tardi quando arrivò a casa disse alla moglie, a Masino e agli altri figlioli che il cane era scappato, non mangiò e, distrutto dalla fatica, andò subito a letto. Però quella notte il barrocciaio non prese sonno, gli rimordeva la coscienza. Un mucchio di pensieri gli ronzavano in testa: “E se il cane non torna più! Ma sì che torna! Ma forse no!” Che nottata povero Luigi! Guardava i tre pacchetti di Macedonia sul cassettone e non dormiva. E dire che il cane tornava sempre, anche quando quei contadini di San Rocco a Larciano avevano fatto carte false per convincere Luigi a vendere Bobi e alla fine c’erano riusciti in cambio di cinque litri d’olio. La sera stessa Bobi era tornato scodinzolando. Quella volta era diverso, il luogo della contrattazione era molto più lontano, Firenze distava da Chiazzano almeno una quarantina di chilometri. Luigi era sicuro che la povera bestia non ce l’avrebbe fatta. La mattina seguente l’uomo si alzò e uscì per governare il cavallo, dette un’occhiata furtiva sotto il pagliaio, Bobi era lì nella sua cuccia che dormiva, con la corda spezzata ancora intorno al collo. Così il tempo passava, Luigi continuava a trasportare merce con il suo barroccio e Bobi sempre dietro, attaccato come un francobollo. La guerra era finita da pochi mesi e si guardava la vita con due occhi, uno rivolto alle distruzioni del passato con le sue tragedie e i suoi dolori e l’altro che scrutava il futuro sperandolo migliore. Fu durante una bella mattinata ottobrina che l’uomo si avviò da Chiazzano a Pistoia per ritirare una partita di damigiane di vino da portare all’appalto di Montale. Nell’aria c’era odore di mosto e di lontani aromi estivi. Il cielo era terso e solo qualche nuvola carezzava veloce le linee sinuose delle vicine montagne. Luigi sorrise e con il gesto abituale si toccò i baffi, tutto faceva presagire una bellissima giornata. Arrivato alla Chiesa di San Paolo imboccò Via del Can Bianco dirigendosi in centro, verso la Sala. Bobi lo seguiva e, come sempre, trotterellava da un canto all’altro della strada. A quei tempi di camion ne passavano pochi e di auto ancor meno. Fu un attimo però. Luigi fece appena in tempo a sentire uno stridio di freni e un guaito straziante e prolungato. Bobi immobile sulla strada respirava a fatica. Luigi, disperato, fermò il cavallo e corse inginocchiandosi accanto alla povera bestia, intanto si era formato un capannello di persone che commosse guardavano la scena. L’uomo teneva tra le mani la testa del cane e gli parlava dolcemente, ma Bobi a un tratto non si mosse più. Fu allora che al barrocciaio parve vedere negli occhi ormai velati del bastardino una lacrima e come per miracolo il suo volto si fissò in quel pianto.

Chiazzano, ottobre 1948

ao

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