Il degrado dell’umano

Caro Etian, caro piccolo Etian, mi piacerebbe raccontarti una fiaba e non scriverti queste cose ma oggi non posso farne a meno. Inutile far silenzio perché spesso il silenzio è una grande macchina di falsificazione, talvolta più efficace delle parole non vere. Ho deciso di scrivere e parlare dei fatti anche se straziano il cuore e graffiano l’anima.

Ti ho visti nel momento in cui l’Italia sta uscendo dalla pandemia e ha voglia di ricominciare, ti ho visto in quella foto mentre guardi fuori dal finestrino il bosco sottostante che scorre veloce, ti ho visto mentre parli col papà, la mamma, i nonni e il fratellino, la mattina durante la colazione, in attesa di partire per una gita, per una nuova avventura. Ti ho visto nei giochi, nelle risate, nella sicurezza della tua famiglia. Poi ti ho visto in quella cabina rossa e bianca che doveva essere una bella esperienza e che è diventata una macchina di morte. Ti vedo adesso mentre, in un lettino di ospedale, lotti per vivere e per accettare qualcosa di molto, ma molto più grande di te.

Da sempre nei momenti di dolore che seguono alle tragedie vorremmo capire il perché di quello che è successo e quali sono le responsabilità soggettive. Questa volta una risposta c’è. Oltre a riconoscere la causa nella ricerca spasmodica del guadagno, nell’avidità, nella sconsiderata massimizzazione dei profitti, c’è qualcosa di più. Il motivo di questa “strage” sta nel degrado dell’umano. L’avidità regala agli uomini il pensiero che ci sia la certezza dell’impunità. La certezza che nulla può succedere e la casistica che avvenga il disastro sia una su un milione, quasi impossibile. Il confine tra ciò che è bene e ciò che è male è delimitato esclusivamente da logiche efficientiste a scapito anche della vita altrui. No! Non c’è solo una corsa sfrenata e assurda al denaro ma l’essere bestie e non uomini. Perché chi mette al primo posto il denaro contro la vita non è un essere umano ma una bestia.

Perché l’avvenuto è morte e toccarlo avvelena il cuore. Perché spesso all’avvenuto non esiste rimedio. Perché gli uomini sono facili a dimenticare, a scordare l’avvenuto anche se l’avvenuto lascia cicatrici profonde.

Adesso per te è ancora troppo presto da capire, eppure esiste, caro Etian, una cosa che può aiutare, non ora ma in futuro ti accorgerai che esiste una via d’uscita alla sofferenza e alla paura. Esistono le sfide della vita. Esiste il raccogliere liberamente i frammenti sparsi, le perdite, le miserie, le sconfitte, i dolori della vita e plasmarli in maniera inedita, perché diventino memoria, monito per tutti e speranza, nella certezza di una nuova esistenza.

Rimettiti presto piccolo Etian e sappi che ti voglio bene.

Un bacio e una carezza.

a.o.

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