Imparare a vivere…

Son venuto presto quassù perché voglio vedere l’alba, anche se fa freddo, molto freddo. La prima ad illuminarsi è la cresta dolce e rigogliosa alla sommità del bosco di castagni, poco sopra all’oliveto sulla costa di fronte. Quando il tempo è buono il sorgere del sole diventa spettacolo eccezionale e di inconsueta bellezza, ogni giorno unico e irripetibile. C’è una luce strana, in bilico tra il buio della notte e l’aria pallida dell’alba che non è ancora nata. All’inizio i miei occhi riescono a sopportare quella palla di fuoco che è solo un pallido spicchio. Poi in un attimo il sole appare con una velocità inaspettata e in tutto il suo fulgore, splende sulla cresta, sulla vallata, sul sentiero, fino a protendere i suoi raggi sulla città. Lontana, sonnecchiante, ovattata. Via via che la luce si fa più forte si accendono anche i colori del paesaggio circostante. Riverberano di rosso i tetti lontani. È già giorno.

Sulla sinistra c’è una vigna dismessa, è stata abbandonata anni fa e i rovi, l’erba e le canne hanno preso il sopravvento sulle poche piante rimaste che, nonostante tutto, producono qualche sporadica ciocca, a ricordare che esistono ancora e ancora resistono all’incuria dell’uomo. La Natura vince sempre, spesso vince anche su ciò che l’uomo distrugge, perché costantemente ci ricorda che è più forte di ogni ragione economica distorta e egoista, di ogni abusivismo, di ogni mancato riciclo, di ogni impegno mancato. Però la Natura è stanca e non ce la fa più. Quanto resisterà ancora? Quando soccomberà? La poesia del rapporto tra uomo, animali e ambiente non esiste più. Col palmo della mano carezzo l’erba, un pensiero gentile in questo mondo dove la distruzione è chiamata progresso e l’egoismo è chiamato libertà. In questa mia carezza fugace c’è l’attenzione a mitigare la sofferenza della madre di tutte le cose. Un gesto d’amore verso la meraviglia che mi circonda. Ritorno con lo sguardo alla cresta del bosco. Il sole è già alto oramai e la vallata risplende di luce.

Cosa mi spinge a venire quassù? Me lo chiedo. Forse la malcelata idea di sentirmi meglio e ogni tanto fuggire da tutto, in pace con me stesso e con gli altri. Ogni vita, anche la mia, è precaria, si nutre e poggia su di una catena di affetti che sono gratuiti e necessari, ma che in un attimo possono finire e creare ricordo. Struggente e doloroso ricordo. Ce l’ha insegnato la pandemia quando alla fine della giornata avevi la testa piena di numeri e di statistiche sui decessi delle ultime ore e moriva anche la speranza. E ancora, tutto ciò, non sembra avere fine. Ecco forse è la ricerca di voltare pagina, di dare la giusta misura e la giusta importanza alle cose che sembrano piccole e inutili in questo mare magnum del futile e del consumo senza fine.  Almeno per poche ore questo avviene. Per un attimo sono pago, distante, felice, salvo. Le pagine di questo libro a cielo aperto che mi scorrono davanti valgono molto di più che un’intera biblioteca. Sono piccole scintille che accendono il fuoco, sta a noi alimentarlo per scaldare e costruire il vero cambiamento, per dare un senso al nostro quotidiano e, qualunque sia il numero degli anni che ci portiamo addosso, imparare a vivere.

a.o.

“L’essenziale è stare nell’ascolto di ciò che sale da dentro.
Le nostre azioni spesso non sono altro che imitazione, dovere ipotetico o rappresentazione erronea di che cosa deve essere un essere umano.
Ma la sola vera certezza che tocca la nostra vita e le nostre azioni può venire solo dalle sorgenti che zampillano nel profondo di noi stessi.
Si è a casa sotto il cielo si è a casa dovunque su questa terra se si porta tutto in noi stessi.
Spesso mi sono sentita, e ancora mi sento, come una nave che ha preso a bordo un carico prezioso: le funi vengono recise e ora la nave va, libera di navigare dappertutto.
dobbiamo essere la nostra propria patria.”

 (Etty Hillesum – Diario)

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