Narrare è…

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

(Gabriel Garcia Marquez)

Sull’onda della tredicesima edizione dei Dialoghi sull’Uomo di Pistoia che ha come tema “Narrare humanum est. La vita come intreccio di storie e immaginari” e sulle parole del grande scrittore colombiano vorrei incentrare le mie riflessioni.

Narrare! E poi a chi? Perché narrare? In quale modo narrare? Già non è facile dirlo, immaginiamo quindi a farlo. Eppure esiste da sempre, da quando l’uomo è apparso sulla terra ha sempre avuto la necessità di comunicare e in quanto animale sociale di trasmettere informazioni. Da sempre, raccontare e raccontarsi segna la nostra appartenenza al genere umano e ad una comunità, mette a nudo la capacità di convivere, aiuta a unirci a chi ascolta, porta a rispettare gli altri e noi stessi.

Narrare è come piantare un albero, essere torpedine, dare la scossa a chi legge e a chi ascolta. Ricordare, esporre, a volte inventare, sottende a qualcosa di transitivo, quindi a qualcosa che ammetta una relazione, qualcosa che nasce, che germoglia e viene trasmessa, che dura nel tempo, che viene riproposta e narrata nuovamente, in un gioco infinito di emozioni. Una sorta di danza che avvolge e travolge noi stessi e gli altri.

Narrare è come vivere una splendida giornata di sole, ciò che diciamo e che scriviamo serve a gioire del cielo, della luce, dei colori, a trasmetter agli altri la nostra vita, i nostri ricordi, noi stessi. E non è solo questo perché le storie e le fiabe oltre che a scriverle si possono leggere, oltre che a narrarle si possono anche ascoltare.

Narrare è come un’altalena, all’inizio mossa da un vento lieve, dondola lenta, poi la spinta dà voce a mille emozioni, alle quali abbandonarsi senza riserve e scoprirne la bellezza.

Narrare è come ricomporre momenti passati nella tristezza del dolore, nell’abbraccio di un amico, nei colori di un tramonto, nella dolcezza di un sorriso, nella forza che abbiamo per riprendere le redini di un tempo da immaginare, da ricordare, da vivere.

Che sia questa la vita. Un flusso e riflusso di cose e di fatti ed infine di parole che li descrivono. Un lungo elenco. Un lungo e interminabile racconto? Essere giocoliere delle parole è vivere mille vite, raccontare storie, siano esse fantastiche o reali non ha importanza, ti proietta in un mondo diverso nel quale ti trasformi e impari sempre qualcosa di nuovo.

E non è vero che il “raccontare” è un patrimonio esclusivo degli adulti, anche i bambini raccontano, e lo fanno come solo i bambini sanno farlo, con una sincerità e un candore da far invidia ai poeti. Io starei ore ad ascoltare la loro voce, li seguirei come si segue un contadino che mostra la sua vigna, come un artigiano che spiega il suo lavoro, come una donna che mostra la sua casa. Perché i bambini, a volte, sono più adulti degli adulti e sono i nostri veri maestri di vita.

Ho raggiunto un’età nella quale cerco maggiormente momenti di sogno, di riposo, di serenità, allora tendo al porto sicuro della fiaba, dove il bene trionfa sempre sul male, dove i sogni e i desideri riempiono la mia mente e fanno pensare oltre. Un momento magico nel difficile ma bellissimo percorso della vita.

Leggere tra le righe e ascoltare il suono delle parole e rimanerne imprigionato. Seguire il racconto e farlo vivere, camminare, divenire noi stessi voce narrante. Una sorta di tenera follia. Sorrido al pensiero che spesso i folli sanno perfettamente ciò che abbisogna ai sani. Anche loro, a volte raccontano una storia, in un monologo fantastico e innocente, dove luci ed ombre si fondono e non esiste più confine tra realtà e invenzione, tra genio e ottusità.

La sera, nel silenzio della mia stanza scopro il dono delle parole, da dove vengono e dove si dirigono. Ripenso a ciò che ho ascoltato, a quanto ho imparato, a ciò che ho detto, al rischio di non essermi abbastanza spiegato, di non venire compreso. Forse, nella passione di raccontare, non ho sufficientemente descritto un luogo, espresso un pensiero, lanciata un’idea. Dalla foce risalgo controcorrente il fiume tumultuoso delle parole, le voci, i volti, le storie che ho sentito, che ho scritto, che ho narrato. Arrivo alla sorgente, a volte ritrovo mio padre, scomparso da poco, a volte riesco perfino a parlare con lui e a sentire la sua voce che dice: «Che mi racconti?»

Narrare è anche questo, immergersi nella tenerezza di un dolce ricordo.

a.o.

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