La “divina Bellezza” l‘Acropoli di Atene

Oggi parliamo dell’antica Grecia dove è nata la filosofia e dove un governo democratico permise ai cittadini di partecipare alla vita politica e sociale. Questa comprensibilissima lezione narrata da Renato Vagaggini, un caro amico appassionato di storia, ci prende per mano e ci conduce attraverso i secoli e lasciandoci incantati…

La “divina Bellezza” l’ Acropoli di Atene

Dopo le lunghe guerre contro i Persiani Atene e i suoi abitanti, forti della loro intraprendenza commerciale e spirito di iniziativa che sempre li aveva contrapposti ai vicini cittadini di Sparta, dettero vita a uno dei più entusiasmanti periodi dell’umanità dove l’impulso a un regime politico diverso comportò una rinascita di tutte le arti umane: dall’architettura alla scultura, dalla poesia al teatro, dalla filosofia alle scienze matematiche. Il motore propulsore che dette vita a ciò fu un regime democratico in senso lato che permise la partecipazione dei cittadini alla vita politica sociale del tempo. Abbiamo detto “in senso lato” poiché l’accezione “democratica” su cui si basava il governo comprendeva il potere non proprio del popolo (demos= popolo krateos=comando) ma si basava comunque su due principi fondamentali: l’uguaglianza davanti alla legge e la partecipazione al governo della città di tutti i cittadini intendendo come tali gli ateniesi adulti e liberi, di sesso maschile. Non erano considerati tali i meteci (occupavano una posizione sociale intermedia e non godevano di tutti i diritti ma avevano un ruolo economico importante), gli stranieri e gli schiavi; anche le donne, pur essendo libere, erano comunque sottoposte alla tutela di un uomo e il loro credito era scarso; si consideri, a titolo di esempio, che in pubblico non potevano usare il loro nome ma dovevano essere indicate come “moglie di….”(!); il concetto di partecipazione politica era subordinato anche a un’altra condizione:  la capacità economica del cittadino, poiché alcuni incarichi comportavano esborso di denaro o la dotazione di armature e cavalli. Tuttavia la base della popolazione libera poteva partecipare alle assemblee e votare, pur non aspirando a poltrone pubbliche. Vi erano vari organi che definivano la sovranità popolare: l’ assemblea (ekklesia) si riuniva in una collina a ovest dell’Acropoli dove potevano radunarsi fino a 6000 cittadini e decidere sulla politica finanziaria ed estera  dello stato secondo un voto a testa, quindi una democrazia diretta e non rappresentativa, ma il cui funzionamento non era poi esemplare; l’assemblea poteva essere manipolata da esponenti di una parte o dell’altra creando una atmosfera ostile con colpi bassi e generazione di confusione favorendo  gli uomini dal carattere cinico e forte. Altra istituzione importante era la Boule o consiglio dei cinquecento i cui membri erano eletti tra i cittadini più abbienti e il loro compito era deliberare e redigere proposte legislative che l’assemblea poi ratificava definitivamente. Una carica pubblica per eccellenza era la magistratura o Arcontato. I magistrati erano scelti una volta l’anno, dovevano avere almeno 30 anni e la loro vita privata e comportamento politico doveva essere vagliato attentamente. Potevano, per maggioranza, bloccare qualsiasi decisione ma potevano anche essere anche accusati di reati ed essere esiliati o mandati a morte e, non ultimo, alla fine del loro mandato una commissione valutava il loro operato. La più importante di questa magistratura era la Strategia; lo stratego era eletto mediante votazione e poteva essere rieletto senza limite di tempo, aveva ampi poteri militari, amministrava il denaro dello stato e poteva convocare l’assemblea. La magnificenza di Atene passerà proprio dalla autorevolezza di una di queste figure politiche: Pericle; sotto la sua guida, egli governò dal 461 al 429, Atene visse una vera età dell’oro; con la supervisione del famoso scultore Fidia i due architetti Ictino e Callicrate furono incaricati di abbellire e rendere moderna e decorosa Atene e in particolare doveva essere ricostruita l’area sacra dove erano innalzati i templi più importanti (l’Acropoli…). Situata in un promontorio che domina la pianura ateniese aveva conservato per una generazione le rovine prodotte dall’invasione degli Spartani nel 480 a.C.; per molto tempo fu deciso di non ricostruire sulla spianata a immemore ricordo di quella barbarie e oltraggio subito.

Ma ora la popolazione, sotto la guida di Pericle, si sentiva svincolata da tale promessa e si volle che l’Acropoli divenisse il simbolo in pietra e marmo della nuova Atene. In realtà, in un primo momento molti cittadini e gli oppositori dello stesso Pericle contestarono tale programma urbanistico che avrebbe comportato spese ingenti e dissanguato anche il tesoro della Lega di  Delo che era rimpinguato da tutti gli alleati greci; Pericle uomo politico di navigata esperienza fu risoluto e convocò ufficialmente l’assemblea dove questa ribadì’ il suo dissenso; al che Pericle replicò che non si sarebbe speso il denaro pubblico ma il suo denaro di proprietà, allora solo il suo nome sarebbe stato inciso nelle iscrizioni delle opere. La popolazione non volle rimanere esclusa dalla gloria e dal passare alla storia e approvò la sua proposta di edificazione edilizia della città.

L’Acropoli diviene il simbolo architettonico della magnificenza di Atene: lo spazio concepito è monumentale ma non produce eccesso, poiché armonia equilibrio e proporzione degli edifici  si coniugano ai canoni classici della scultura che ancora oggi ammiriamo: Il visitatore accede al complesso da un portico monumentale con scalinata, i Propilei, dove si innalzava una statua di bronzo della dea Atena Promachos (prima in battaglia); tale capolavoro di Fidia (andato perduto) era di tali dimensioni che la sua lancia ed elmo erano visibili dai marinai delle navi in avvicinamento ad Atene. Quindi affacciandosi all’area sacra sulla destra era visibile Il gioiello dell’area, il Partenone: al suo interno vi era l’immagine scultorea crisoelefantina, cioè realizzata in avorio e oro, della dea Atena Parthenos, Atena la vergine. Era custodita nel luogo più sacro del tempio, nella stanza del tesoro, chiusa da due portoni in bronzo; la statua era alta 11 metri e il rivestimento era in avorio, l’armatura in oro; secondo alcune fonti per realizzare l’armatura occorsero 40-45 talenti d’oro, unità di misura ateniese corrispondente a 24-25 chili di oro, quindi circa una tonnellata di oro ricopriva la statua, al valore odierno del prezioso metallo parliamo di una decina di milioni di euro (!). Oggi sono rimasti i frontoni e i fregi del Partenone a rappresentare ancor oggi l’apice dell’arte classica greca, ma la stessa struttura del tempio simboleggiava la perfezione ed era il risultato dell’applicazione della scienza matematica e geometria allora conosciuta. Tale perfezione stava a indicare il rispetto religioso per la Dea e infatti la festa religiosa per antonomasia era la “Panatenee” dove tutti i cittadini liberi comprese le donne, con una processione attraverso le strade salivano l Acropoli  portando un peplo (panno cerimoniale) proprio alla Dea Atena; dai Propilei gli ateniesi si affacciavano sull’area sacra con un punto di osservazione unico: la disposizione degli edifici infatti era tale che da tale punto si diramano le linee prospettiche dei principali edifici dell’acropoli, e tali linee non sono casuali ma sono le linee di 30 gradi costituenti le 12 parti in cui si divide l’universo di 360 gradi; gli edifici sono quindi inseriti in tale contesto per ottenere un effetto scenografico e poter osservare il Partenone per la sua maggiore estensione, per ben tre quarti ; Inoltre le proporzioni che regolano il Partenone nascono dalle radice quadrata di 5, cioè il rapporto tra il lato più corto e più lungo è la radice quadrata di 5; tutto questo affascina i greci per la sua irrazionalità e mistero che conduce al divino;  ma l’applicazione della geometria raggiunge il suo apice nella facciata del Partenone;  i greci ritengono che ogni forma abbia un punto di vista naturale di bellezza: chiamano la “sezione aurea” l’applicazione alla  facciata di una serie di valori della distanza e dell’altezza delle colonne;  una linea pari alla larghezza della base viene ruotata in alto per costituire un triangolo che a sua volta viene ruotata sull’ipotenusa individuando un punto; da questo punto la proiezione sulla base indica dove deve essere innalzata la colonna e l’altra subito alla sua destra, poi proseguendo alla stessa distanza con le altre la facciata arriva ad avere otto colonne e non sei, rompendo la tradizione classica. E come se non bastasse l’armonia del Partenone non dipende solo da questi valori geometrici matematici, ma anche da una serie di distorsioni tecniche, anche se impercettibili, che hanno il compito di ingannare l’occhio e far percepire all’osservatore una struttura perfetta; nelle strutture verticali e orizzontali non vi è una sola linea diritta, ma è tutto un susseguirsi di rigonfiamenti e curvature che prendono il nome di “correzioni ottiche”. Dalla posizione dei Propilei il Partenone sembra essere una struttura equilibrata, in realtà le colonne sono più alte nel centro per evitare che viste dal basso sembrino curve. Guardando frontalmente la struttura l’occhio umano percepisce quanto sta al centro perfetto ma ai lati del campo visivo percepisce una leggera distorsione e infatti agli angoli le colonne sono più larghe; tutto concorre a produrre una correzione ottica per armonizzare la struttura dal punto di vista dell’osservatore. I lati delle imponenti colonne presentano verso l’alto, a circa a due terzi un rigonfiamento che è detto “entasi”, inoltre le stesse colonne non sono perpendicolari al terreno ma inclinate verso l’interno; il fenomeno dell’ “entasi” ha lo scopo di compensare l’assottigliamento delle colonne che si levano verso l’alto: senza tale correzione esse apparirebbero più strette al centro con un effetto visivo di disturbo.

Sul lato ovest della spianata, presso i Propilei, a pochi metri dall’orlo delle rocce a strapiombo che caratterizzano l’Acropoli sorge il Tempio di Atena Nike. Costruito probabilmente intorno al 425 a.C. in ordine ionico, è un tempietto con quattro colonne libere sulla fronte e sul retro, ornato nei fregi di preziosi bassorilievi che narrano vicende di una battaglia fra Greci e Persiani (probabilmente Maratona). La storia racconta che il vecchio Egeo, padre di Teseo, si tuffò in mare dalla roccia sul quale ora si trova il tempio, dopo aver visto le vele nere (quindi indicanti la sconfitta) alzate per errore sull’albero della nave che riportava gli eserciti dall’isola di Creta. Il tempio include una cella, che ospitava una volta la statua di Atena Nike (“vittoriosa” e simboleggia la citta); la statua era anche detta “aptera”, cioè priva di ali, a significare il fatto che la dea non avrebbe mai più dovuto lasciare Atene.

Eppur è l’Eretteo la struttura più importante dell’area sacra, è il luogo dove converge la processione Panatenaica, dove per tutto l’anno gli ateniesi rendono omaggio agli Dei che hanno altari e zone distinte di culto a cominciare proprio da Eretteo, uomo/Dio e primo re di Atene, per passare a Zeus, Poseidone e Atena Poliade (protettrice della città), la cui statua viene ornata durante le celebrazioni, appunto, con il peplo cerimoniale. A fianco dell’Eretteo vi è un a struttura, una sorta di loggetta, con le Cariatidi, figure femminili scolpite che venivano usate con funzione di colonne o pilastri a sostegni di parti architettoniche sovrastanti. Il nome deriva dalle donne di Karya; le donne di quella città del Peloponneso sarebbero infatti state rese schiave dagli ateniesi, pur mantenendo le loro vesti e attributi matronali, dopo la sconfitta e la distruzione della loro patria, come punizione per l’appoggio fornito ai Persiani, quindi la loro funzione di sorreggere il peso di parte dell’edificio è quella di tramandare la colpa della scelta e il ricordo dell’evento. Anticamente cariatide indicava qualcuno che se ne stava impalato e silenzioso senza muoversi o prendere delle iniziative. Nella lingua moderna dare della “vecchia cariatide” a qualcuno vuol dire presentarlo come una persona superata nel modo di agire e pensare e, per estensione, molto vecchia e malridotta.

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