Lo sguardo di un Padre

La taverna di Zena il greco era situata lungo la strada ciottolosa che dal palazzo del prefetto Pilato correva fuori Gerusalemme verso quella collinetta tanto simile a un cranio, il Golgota appunto. Manio era seduto là vicino all’uscita, si toccava la gamba ferita e guardava fuori mentre consumava il suo unico pasto caldo della giornata: una zuppa d’orzo e piselli bolliti. Il lezzo d’aglio e carne fritta aleggiava nel locale scuro e angusto.

Era quasi l’ora quinta e la strada polverosa sembrava assumere un aspetto irreale. Sentì delle urla e delle imprecazioni là fuori. Sapeva cosa stava succedendo. Sempre più spesso quel tragitto veniva usato dai soldati come lui per accompagnare i condannati verso la sommità della collina e crocifiggerli. Lasciò sul lurido tavolo due monete per l’oste e uscì velocemente, quello spettacolo gli piaceva, era un po’ come assistere ai giochi che si tenevano nelle piazze vicino ai Fori della sua Roma, cosa resa impossibile adesso in questa terra lontana e maledetta.

Fuori c’era sangue, dolore, sofferenza, lo spettacolo sapeva di morte. Vide che l’Uomo stranamente portava una corona di spine in testa, alcune penetrate nella carne gli facevano sanguinare copiosamente la fronte e chiudere gli occhi. Le guardie a fatica riuscivano a tenere lontana la folla urlante che protesa lo contornava, sbeffeggiandolo, insultandolo, sputandogli addosso mentre sporco di sangue e pieno di ferite si trascinava lungo la strada.

C’erano un gruppo di donne che seguivano l’Uomo e piangevano e si battevano il petto e sopportavano per Lui il caldo soffocante, le urla, gli urti violenti su quella via sconnessa fatta di pietre e polvere. 

I soldati, ridendo, lo incitavano a muoversi con la punta delle lance e ogni pochi passi gli lasciavano cadere sulla testa e sulla schiena nuda la frusta. Lui intanto si trascinava curvo sotto il peso della trave della croce di traverso sulle spalle. Fu proprio in quel preciso istante che il Condannato scivolò. Nel rialzarsi il suo sguardo si posò su Manio. Quella scena colpì il soldato che, nonostante fosse ormai abituato a quel genere di cose, quella volta fu colto da imbarazzo. Un disagio fastidioso e struggente si era impadronito di lui.

Lui, Manio Cato Romulus, valoroso componente la terza linea della “X Legio Fretensis” dell’Impero di Roma, appartenente all’esercito creato da Tiberio Giulio Cesare Augusto, uscito indenne da numerose battaglie, lui Manio, che nella mischia sapeva usare il gladio come nessun altro, che si era diviso con i compagni d’armi diversi bottini di guerra, che non aveva mai esitato a eseguire un comando, anche se si trattava di uccidere donne e vecchi inermi o fanciulli indifesi, questa volta non riusciva a sostenere lo sguardo di quell’Uomo, in Lui c’era qualcosa di misterioso, di indecifrabile. Rimase immobile, a testa bassa, provava un senso di pietà mista a tristezza. No, non era per niente contento di quello che i suoi compagni d’armi e il popolo stavano facendo a quel Condannato di nome Gesù. In una manciata di secondi lo assalirono mille dubbi, mille pensieri. Cosa aveva veramente fatto quell’Uomo per essere trattato così? Era paragonato alla stregua di ladri e assassini solo per aver manifestato delle idee, ma quali erano veramente le sue colpe? Di sera nell’accampamento poco fuori la città, quando tutti giocavano a dadi e bevevano vino e miele, si raccontava ridendo di un Giudeo di nome Gesù che credeva di essere un Re, andava in giro pensando di guarire i malati e parlava alle folle. Era solo un povero matto. Perché gli stavano facendo questo? Intanto il corteo si stava allontanando e Manio ripensava a quegli occhi, e a quello che gli avevano trasmesso: era qualcosa di indecifrabile e al tempo stesso rincuorante, come se il Condannato avesse capito il suo dolore e con quello sguardo avesse cercato di confortarlo. Lui, un valoroso legionario di Cesare confortato da un condannato a morte. Bella novità! Storie! Fandonie! Aveva altro a cui pensare lui e non poteva certo cambiare le sorti di quell’Uomo.

Si voltò e si incamminò verso Gerusalemme zoppicando. La ferita continuava a fargli male e se non guariva alla fine sarebbe stato spostato nelle retrovie e la cosa non gli piaceva per niente. Anche se il medicus legionis dell’accampamento lo aveva curato bene con un impasto di argilla e olio, quel taglio non ne voleva sapere di rimarginarsi e il legionario era costretto a portare sempre una benda di lana stretta alla coscia, anche in battaglia. Doveva assolutamente rientrare, si sarebbe riposato un po’, quella sera stessa iniziavano i turni di guardia nella vicina provincia di Samaria. I ribelli Zeloti erano un pericolo costante. Superato il posto di guardia si diresse verso la tenda, due dei suoi compagni avevano avuto la sua stessa idea e stavano russando saporitamente sulle loro brande. L’aria sapeva in maniera nauseante di vino e di aceto. Si slacciò la tunica, adesso la ferita doleva in maniera insopportabile. Non riusciva a prendere sonno, ripensava al Condannato, gli passavano davanti le scene della mattina e quello sguardo che non aveva potuto sostenere. Alla fine si addormentò.

Non fu però un sonno tranquillo, aveva nella mente quegli occhi, in un attimo, ricordò la propria infanzia, la casa lontana, i buoi, le vigne, gli olivi, sua madre intorno al fuoco, i suoi fratelli più piccoli che giocavano e suo padre che gli insegnava i segreti della terra e delle stagioni. Ecco, ora era tutto chiaro! Gli occhi! Quegli occhi! Quello sguardo. Lo sguardo del Condannato era lo sguardo buono di suo padre. Poi lo rivide che scivolava schiacciato dalla trave. Quegli occhi, le mani, la corona di spine. Fu allora che l’Uomo si rialzò e venne verso di lui dicendo «Io faccio nuove tutte le cose». Si svegliò con un grido, madido di sudore, la terra tremava ed aveva preso a soffiare un forte vento. Fuori dalla tenda, nella tempesta, il cielo si era fatto scuro, tutto era buio, si sentivano i soldati che correvano eccitati e i comandanti che urlavano ordini. Era l’ora sesta.

Manio stordito ripensava al sogno e alle parole del Condannato “Io faccio nuove tutte le cose”. Cosa avrà voluto dire?

È solo un sogno. Storie! Fandonie! Si mise a sedere sulla branda e iniziò velocemente a vestirsi, il corpetto, la lorica, i calzari, fu quando si mise la larga cintura che si accorse della ferita. La gamba non doleva più. Concitatamente tirò su la tunica, si srotolò la fascia di lana che avvolgeva strettamente la coscia e guardò. La pelle era perfetta, la ferita scomparsa. Lo assalirono inquietudine e paura, forse aveva sbagliato, non era quella la gamba, guardò l’altra senza convinzione. Niente anche qui, la ferita era sparita. Si lasciò andare sul proprio giaciglio lentamente, fuori la burrasca infuriava, i compagni imprecando si legavano i mantelli e coprivano la testa con i cappucci di cuoio. Faceva freddo ma Manio non lo sentiva e ripensava a quell’Uomo che camminava verso il Golgota, a quegli occhi, al Suo sguardo, allo sguardo di suo padre. Infine si alzò e spostò con la mano la pelle di capra all’entrata della tenda, lontano verso la collina uno spicchio di sole squarciava le nubi, l’effetto era quello di uno strano gioco di luci sulla terra battuta dell’accampamento. Il legionario, ebbe un brivido, sentiva che era iniziato “qualcosa di nuovo”, sicuramente la sua vita sarebbe cambiata, niente sarebbe stato più come prima. Intanto, alzati gli scudi con impresso l’emblema del verro, arrancando nel fango, i compagni della “X Legio Fretensis” stavano serrando i ranghi per formare la colonna di marcia.

Manio, ancora sconvolto, si affrettò a raggiungerli.

(a.o.)

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