La forza di sperare….

Primavera 1938

Oggi, domenica di Pasqua, presto
Un’improvvisa tempesta di neve
si è abbattuta sull’isola.
Tra i cespugli verdeggianti c’era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
può cancellare
il continente, quest’isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all’albero tremante di freddo.

(Bertolt Brecht)

(raccolta Steffin Einaudi 1976)

«L’isola di cui si parla nel testo è quella danese di Fünen, dove (nel paesino di Svendborg) Brecht trascorse i primi cinque anni d’esilio dopo esser fuggito dalla Germania nazista. Nel 1938 la domenica di Pasqua cadde il 17 aprile: è passato appena un mese dall’annessione dell’Austria al Terzo Reich, l’Europa sta precipitando in quel vortice di vigliaccherie e connivenze che porteranno alla seconda Guerra Mondiale. Aprile, in Danimarca, può ancora riservare momenti di freddo intenso: nevicate improvvise che gelano le gemme già spuntate e mettono a rischio gli alberi da frutto. Ma in quel 1938 al gelo reale si aggiunge una simbolica glaciazione storica: alla Resurrezione pasquale si oppone una minaccia di guerra che può sterminare un’intera civiltà.»

(tratto dal libro “La voce verticale” di Walter Siti)

Oggi 17 aprile, proprio come nel 1938, è Pasqua. Ho riletto questa poesia di Bertolt Brecht e il relativo commento dello scrittore e saggista Walter Siti. Anche se oggi la guerra è già in atto e non solo minacciata come si legge nel testo, questi versi appaiono ai miei occhi molto in sintonia con il triste periodo che stiamo vivendo: un conflitto alle porte di casa che continua a mietere vittime innocenti e che ha sconvolto tutte le nostre certezze. Perdurando questa triste situazione, una delle cose peggiori che possono avvenire è quella di assuefarsi all’orrore e al male che, pur essendo come in questo caso vicino, non ci tocca personalmente. Eppure negli ultimi anni, la pandemia ci ha abituati a convivere con l’ansia di un pericolo imminente al quale non riusciamo a dare il giusto significato. Nel nostro vivere quotidiano, esorcizzare e allontanare l’immagine del male che i media ci somministrano attraverso immagini spaventose e raccapriccianti, diventa un complesso e faticoso esercizio mentale. Tutto ciò deve indurci a riflettere sui nostri limiti, la nostra vulnerabilità, la nostra finitezza. Il mio augurio è quello che questo flusso di notizie non diventi routine e assuefazione al male, ma anche quello che l’alba del nuovo giorno possa restituirci la forza di sperare e di rinascere. Ne abbiamo bisogno.

a.o.

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