I miei giorni di silenzio

Vicino alla meta lo scenario che si apre davanti ai miei occhi è dei più belli che si possa immaginare, poi un pezzo di strada nel bosco e finalmente il piazzale. Sono arrivato. Tocco automaticamente il cellulare e mi accorgo che non c’è alcun segnale, mi assale il dubbio di aver fatto un errore. Forse la scelta di questo posto ameno non è stata quella giusta. Scaccio subito il pensiero e posteggiata l’auto, prendo il mio zaino dirigendomi verso il grande portone. Quando si arriva all’Eremo di Camaldoli il tempo diventa lento, contraddistinto da limitati impegni, scanditi solo dal suono delle campane che segnano le ore. Ai primi versi degli uccelli quando ancora è buio viene recitato il “Mattutino”, poi le “Lodi” alle tiepide luci dell’aurora che indugiano tra i rami degli abeti. La sera dopo “Compieta” inizia il rispetto del “grande silenzio” che segna il riposo notturno fino al momento delle lodi. Per rivedere le mie convinzioni e guidare i miei pensieri, mi sono lasciato scivolare in questa esperienza. Adesso sarà difficile tirarmi indietro. Spero solo che vivere tre giorni quassù, lontano dal mondo e da bagni di folla, mi aiuti a riconoscere i miei pregi, mettere a nudo i miei difetti e far sì che questo viaggio interiore, nel silenzio assordante della natura e nella sperduta ed estesa solitudine, faccia un po’ d’ordine nel mio animo inquieto.

Negli ultimi anni tutti i mesi e i giorni sono stati frenetici e dolorosi ed hanno lasciato ferite profonde che faticano a risarcire, mi accorgo adesso che hanno anche mutato il mio modo di vivere. Voglio alleggerire la mia presenza, renderla quasi invisibile.

Adesso sono a sedere sul letto della stanzetta sobria e pulitissima che mi hanno assegnato, ripenso alle cose che ho visto durante il viaggio e realizzo che sto per intraprenderne un altro, più lungo, più complesso, più vero: quello interiore.

Non sono solo, altri ospiti hanno scelto di passare quassù qualche giorno, ognuno diversamente motivato ma tutti accomunati dalla ricerca di un Dio che accoglie, che sorride, che abbraccia. A Camaldoli si scoprono i pilastri della vita monastica di San Romualdo: il cenobio e l’eremo ovvero la vita di comunione e il delicato “agire” della solitudine. C’è qualcosa in più però in questo angolo di paradiso che è l’evangelium paganorum cioè la buona notizia annunciata a tutti, proprio a tutti, non credenti compresi.

Respiro a pieni polmoni l’odore del bosco e mi sento appagato, sazio, felice.  Solo il fatto di esistere è meraviglioso, potere assaporare quanto di bello mi circonda è un fatto straordinario. Penso che Dio deve essere stato veramente molto bravo a creare il Paradiso perché racchiuda una bellezza, una pace e una serenità maggiore a quella che sto provando. Contemplare il Creato e le sue creature è un dono di Dio, è scoprire il Suo volto.

È il secondo giorno del mio ritiro quassù, mi sono affrettato nel bosco lungo il sentiero che porta all’Eremo e adesso sono a riprendere fiato su di una panchina di fronte al portone d’ingresso. Ascolto il silenzio rotto solo dal suono delle foglie che cadendo urtano i rami degli alberi in un ritmo cadenzato. È un altro suono da quello che fanno quando nel camminare crocchiano schiacciate dagli scarponi. È una sorta di tac tac irripetibile. Molto al di sopra delle cime degli abeti volano gracchiando le cornacchie e sotto, molto più sotto innumerevoli specie di uccelli cantano alla vita e piangono a un altro giorno che muore. Lungo la strada l’acqua del torrente scende saltellando impetuosa tra massi e ciottoli. C’è un diffuso senso di pace in questa fioca luce del crepuscolo.

Sono solo ma non mi sento solo. La solitudine così intesa è molto legata al viaggio, un viaggio dell’animo che serve a mettere la giusta distanza tra me prima, me adesso e me quello che sarò dopo. Saprò riconoscere in “ictu oculi” l’essenziale dall’ effimero accessorio? Cosa mi resterà di quest’esperienza iniziata quasi come un gioco curioso? Riuscirò a mettere a frutto questo fugace tempo di mezzo tra l’entusiasmo dell’inizio e il malinconico finire? Riusciranno questi tre giorni a farmi percepire l’essenza di Dio?

È notte e sento nella stanza accanto dei rumori familiari, papà con l’amato vecchio macinino si prepara il caffè e la mamma sta stirando. Fanno un rumore che è più dolce del miele. Un rumore che sa di buono. Il rumore della mia infanzia. Poi i suoni aumentano, le voci che sento mi circondano di mille e presenti “assenze”. Apro gli occhi e sono nella mia piccola stanza, ho sognato. Attendo qualche minuto così, al buio, poi il silenzio fuori è rotto dal suono delle campane. Annunciano che bisogna prepararsi, tra poco ci sarà il Mattutino. Così inizia il mio il mio ultimo giorno di ritiro, il terzo. In autunno a più di mille metri di altitudine fa freddo e io mi affretto a percorrere il breve tratto di selciato che porta alla Chiesa. È già aperta, le poche lampade accese danno un aspetto malinconico. Riecco il silenzio che sovrasta. Mi siedo, col Salterio Monastico sulle ginocchia e medito. Cerco di mettere in relazione la Fede delle Verità Rivelate e la Fede che sta chiusa nel mio cuore. C’è un attimo sospeso, come quando termina un concerto e tutti stanno in silenzio prima dell’applauso finale oppure quando si esce fuori in una notte stellata e si contempla il cielo pensando a quel che siamo, un puntino nell’universo. Entrano i monaci. Il rumore del sedile che viene abbassato riecheggia nella Chiesa, poi di nuovo silenzio. Suonano le campane, è il segno, tutti ci alziamo e iniziamo a recitare i Salmi, in piedi, i gomiti appoggiati ai sostegni lignei di ciascun stallo. È così cinque volte al giorno, tutti i giorni dell’anno. Il Mattutino, le Lodi, l’Ora Media, i Vespri e la Compieta sono questi i tempi di preghiera che coprono l’intero arco della giornata alternando i momenti di lavoro e il momento comunitario dei pasti.

La lentezza di un tempo sospeso fuori dai tempi mi consente di rientrare appagato nel mondo che ho lasciato all’inizio di questa strana avventura, riappacificato, rinnovato, sfuggito alla superficialità. Riconosco attraverso questa solitudine e questo silenzio Dio. È la profondità del mare, la cima di un monte, i colori dell’aurora, quelli di un rosso tramonto, un gemito, un bacio, il sorriso di un amico, una preghiera, il respiro dell’anima.

Nel vissuto incontro delle meraviglie della natura, una gioia lenta mi avvolge. Devo riordinare gli eventi. Sento nel profondo del mio animo un sacrosanto senso di liberazione, di serena dolcezza. Ha lasciato, questa lezione di vita monastica, una scintilla di bellezza nel mio cuore, qualcosa per cui, con struggente nostalgia, valga la pena di dire grazie, davvero grazie.

a.o.

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